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Il Gattino Con Il Fiocco Rosso

Si mormorava al “asilo-nido delle signore” che nel palazzo di fronte ci fosse entrata una gatta per partorire i suoi piccoli e che ora, la signora al pian terreno, stesse accudendo madre e piccoli. 
Nel vedere tale signora alla finestra, Anita si avvicinò senza esitare.
«Mi scusi, è vero che ci sono dei gattini a casa sua?»
L’anziana signora sorrise «Ce ne sono ben cinque, li vuoi vedere?»
«Oh, sì, mi piacerebbe tanto!»
«Entra, il portone è aperto.»
Anita varcò l’ingresso fermandosi nel buio atrio.
«Vieni avanti» la incoraggiò la signora con fare gentile mentre la luce delle scale si accendeva.
La bambina si avvicinò alla donna, ferma davanti a una porta aperta. «Sono lì» le disse indicando una scottala di cartone sotto le scale.
«Posso vederli?»
«Certo cara, vai pure.»
Camminò lentamente fino a riuscire a spiare dentro alla scottala dove i gattini, miagolando, camminavano a stento uno sopra l’altro.
«Come sono piccoli…» disse sottovoce la bambina.
«Si. Sono molto piccoli.»
«Posso toccarli?»
«Meglio di no… ho sentito dire che se la madre sente un odore diverso del suo smette di allattarli.»
Ubbidiente rimase a guardarli per un po’. «Posso tornare a vederli? Vado alla scuola delle signore, proprio qui davanti.»
«Si, lo so.» le rispose «Tu sei Anita, la nipote di Maria, vero?»
«Si.»
«Torna pure quando desideri, il portone è aperto, cosi la madre può andare e venire quando vuole. Ma ricordati di non toccare i piccoli» aggiunse con un sorriso.
«Lo prometto.»
Da quel giorno, ogni sera, Anita faceva visita ai micetti, li osservava per qualche minuto e poi correva a casa. Nessuno ne era a conoscenza di tale rituale, tranne la signora Ofelia ovviamente, che nel sentirla arrivare usciva di casa per salutarla. Insieme avevano dato il nome a ogni cucciolo.
«Su, coraggio, penso che ormai tu li possa accarezzare» le disse una sera.
«Davvero? Posso?» 
«Si, adesso puoi.»
Timidamente allungò la mano verso la scatola e delicatamente accarezzò il pelo di tutti i piccoli volgendo poi il viso sorridente alla signora. «Sono morbidi…»
«Se vuoi puoi prendere uno in braccio» la incoraggiò.
Anita rivolse lo sguardo alla scatola, individuò il suo adorato e lo afferrò delicatamente con entrambe le mani portandoselo al petto emozionata.
«Il tuo preferito…» notò la donna strizzandole l’occhio.
«Si» rispose con gioia «Cenere.»
«Perché non te lo prendi?»
«Prenderlo? Tenerlo io? Portarlo a casa con me?»
«Si cara, tenerlo con te, è tuo se vuoi.»
«Mi piacerebbe tanto… ma non so se posso.»
«Aspetta, ci vuole qualcosa.» le disse scomparendo lungo il corridoio facendo ritorno, quasi subito, con in mano un nastro. «Ci vuole un bel fiocco rosso!» dichiarò avanzando verso di lei. Passò la fettuccia intorno al collo del gatto e la annodò con un vistoso fiocco. «Così è perfetto, il tuo gatto.»
«È bellissimo signora Ofelia, grazie…» 
«Adesso portalo a casa il tuo Cenere, sono sicura sarà molto felice con te.»
Anita, con il piccolo esserino stretto a sé, andò verso casa. Scese le scale fermandosi davanti alla porta e suonò il campanello. Come temeva, fu la madre ad aprirle.
«Che cos’è quello Anita?» le domandò la donna, severa.
«È un gattino mamma.»
«Lo vedo bene che è un gattino, ma cosa ci fai con un gattino in braccio?»
«È un regalo per Clara mammina» Improvvisò nel tentativo di convincere la madre, di farle credere fosse un regalo per la sorella.
«Non dire stupidate, non voglio animali in questa casa! Riportalo subito via!»
Anita non aggiunse altro. Avvicinò il piccolo animale al viso e risalì le scale piangendo, in silenzio. Arrivò alla porta della signora Ofelia e suonò. La donna apri trovandosi davanti la bambina in lacrime, singhiozzante.
«Anita…»
«Mia madre non lo vuole, non lo posso tenere Cenere… mi dispiace.»
La signora si mise in ginocchio per abbracciare entrambi, bambina e gatto, nel tentativo di consolarli, commossa dal dispiacere evidente della piccola. 
«Stai tranquilla tesoro, te lo tengo io Cenere, non lo do a nessuno, te lo prometto, puoi venire a trovarlo tutte le volte che vuoi. 
Anita si svincolò dall’abbraccio, allungò le esili braccia porgendo il micio alla donna, si asciugò le lacrime con entrambe le mani e corsi a casa.
Non tornò mai più da Cenere. 

by Monica Salgueiro Saraiva

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